Pavia, 16 Dicembre 2005
Egr. Dott. Asero,
le scrivo queste poche righe innanzi tutto per ringraziare lei e l’autore per l’onore che mi avete fatto nell’inserirmi tra i relatori per la presentazione del libro “La voce del maestrale” e soprattutto per giustificare la mia assenza causata da impegni di lavoro. Le chiedo per gentilezza di leggere personalmente le poche righe che le sto inviando.
Sono molto felice per il successo che un caro amico e “compagno di giochi” sia riuscito a raggiungere e sicuramente ammiro il coraggio che Nunzio ha avuto nel combattere perché il suo sogno si realizzasse. Avrei sinceramente voluto essere lì con voi oggi, non solo per partecipare al successo di una persona cara, ma anche perché in questa occasione avrei potuto rivedere e salutare amici che non vedo da tempo, ma che sono sempre rimasti nel mio cuore. Soprattutto sarei tornata in quella che da sempre ho considerato la “mia terra”. Non passa giorno in cui nelle mie conversazioni con amici o colleghi io non parli un pò dei miei anni trascorsi in Sicilia e non passa giorno in cui io non senta telefonicamente qualcuno dei miei amici siciliani. Sono fisicamente lontana, ma sentimentalmente molto più vicina a questa terra di quanto non lo sia un nativo.
Leggendo il libro di Nunzio Russo ho ripercorso i miei anni siciliani, mi è tornato alla memoria il grande odio che ho provato per quella terra dall’istante in cui i miei genitori mi hanno comunicato che ci saremmo trasferiti in Sicilia. Cambiare casa e città da piccole è sempre stato considerato un gioco per me e mia sorella, nuovi amici, nuovi compagni di scuola, nuove culture ed esperienze, ma a quindici anni il gioco iniziava a trasformarsi in “problema”. Ebbene, grazie all’aiuto dei compagni di scuola del Liceo Scientifico di Termini Imerese e poi degli amici (molti dei quali presenti in sala questa sera) che ci hanno accolto con l’affetto di cui solo un “siciliano” è capace, ebbene, quel grande odio si è trasformato in amore profondo, uno di quegli amori che non ostante tutto non finiscono mai. Si tratta di amore verso le persone, di amore verso una cultura completamente diversa da quelle in cui sono cresciuta, di una cultura fatta di valori, giusti o sbagliati che siano, che comunque coinvolgono l’essere umano a tal punto da farlo sentire uno di loro, un “siciliano”. Si tratta di un amore verso una terra dai mille colori, dalle mille contraddizioni e dai mille sapori, ma che proprio per questo entra nel sangue e rende “siciliano” anche chi non lo è.
Giovedì pomeriggio, parlando al telefono con l’autore, mi sono sentita dire “Amunì, arricampati, tu sei una polentona isolana”. Lui l’ha detto scherzando, ma scherzando ha toccato nel segno. Sono una polentona isolana e ne sono fiera, come sono orgogliosa di avere scritto sulla mia webpage che mi sono laureata all’Università degli Studi di Palermo. (Non so se l’Università degli Studi di Palermo sia altrettanto orgogliosa di ciò!!!).
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