Sempre confessare una colpa è atto di giustizia. Poi, questa volta sono stato davvero un monello. Invece di recensire uno splendido romanzo di Piera Rossotti Pogliano, ho scritto un mio personale diario di questa lettura. Sono state giornate piacevoli, di approfondimento, e finanche di riflessione su certi aspetti della mia vita e dettati da ogni singola pagina. ll risultato è un commento, e quindi molto più di una qualunque e dottrinale critica. Nulla di quanto si trova in giro. E’ questo il dono ricevuto da “Il diario intimo di Filippina De Sales Marchesa di Cavour”.

 DIARIO DI UNA LETTURA

Casa al mare, 3 giugno 2001
Come un’esistenza scorre veloce fra definiti meandri, le mie stesse giornate vivono di un’essenza simile ed estrema. Osservo i miei figli giocare e ridere nel giardino, piccolo, della capanna che da qualche anno io prendo in affitto sul mare. Questa è una consolazione. Massimo e Francesco conserveranno un ricordo sbiadito delle vecchie residenze estive di famiglia. Lo stesso non è per me, ma questo è il minore dei mali. Faccio un ghigno, e non comprendo ancora come sono tutto intero e pieno di sogni, che intendo realizzare e presto. Poi ritorno alla lettura di questa domenica, mentre il maestrale arriva da lontano e smuove le azzurre acque in cavalloni, e così da indurmi a pensare che rinvierò il primo bagno della stagione.
Il diario intimo di Filippina de Sales marchesa di Cavour, il titolo del romanzo, è un po’ lungo, ma è pure come un chiodo appuntato nella mente e che poi entra fino in fondo, appena distratto tocchi uno spigolo. Ho già letto trenta pagine e credo che rileggerò ancora questo libro. In genere leggo più volte, infinite, quel che davvero piace.
Il testo impressiona e mette paura, per l’indicibile bellezza. E’ colmo dell’essenza propria della donna e protagonista, e che soltanto una rara sensibilità poteva comprendere e poi interpretare e finanche offrire al mondo dei lettori. Questo è uno di quei radi eventi dove la letteratura si aggiunge all’avventura umana e ottiene come somma perfezione. E appare anche mediocre, al cospetto di una simile verità, riflettere su qualche inevitabile dettaglio. Che cosa importa di qualche pronome, di qualche stupido e personale “mi”, che spesso Filippina ripete nel suo diario e che l’illetterato sottoscritto eliminerebbe con gran gusto. Meglio, piuttosto, correre con la mente alle due pagine, la 25 e la 33, e a quel ripetuto “amico mio” che appare in un accenno di dialogo. L’essenza di un matrimonio, anche combinato, ma poi riuscito, è in queste due magiche parole.
 
Sono a pagina 50. Chiudo il libro. Ciao Filippina, ti rivedrò domani.
 
 

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