Alle volte e come una tempesta il ricordo di una storia ti assale. Poi non ti abbandona piu’, se la faccenda e’ stata una bella cosa. In questo modo e’ tornata alla memoria l’essenza di una terra lontana, improvvisa e simile ad una visione.

Mi ricordo del quartiere di Ghezzabanda. Una scassata millecento gialla della Fiat correva in quella direzione. Il tassista conduceva due persone. L’uomo oscurava la luce del parabrezza, e finanche era troppo grasso per un’auto degli anni cinquanta e giunta fino al duemila. Portava curati baffetti e parlava in italiano.

Ero capitato ad Asmara, per visitare e studiare la storia di quei posti, ricercando verita’ per l’architettura del romanzo che avevo in mente. Accanto a me, sul sedile posteriore, stava una signora di Torino. Lei cercava la casa in cui era nata. L’avevo conosciuta nell’ufficio dell’agente di viaggio, che organizzava escursioni a Cheren e Metara. Era magra e piuttoso allegra Piera, e poi aveva un nasino all’insu’ e portava i capelli bianchi tagliati corti. Al ritorno, curioso ero andato con lei. L’abitazione non c’era piu’.

– Chissa’ quando e’ stata demolita -, disse la donna. E nei suoi occhi fece capolino la tristezza.

– Mi dispiace -, dissi io.

– Non importa. In ogni caso, e’ qui che mia madre ha partorito -. Aveva ancora l’ingiallito certificato di battesimo, che recava data di nascita e paternita’. Lo mostro’. Appariva orgogliosa d’essere asmarina. 

E’ stato quello l’istante in cui e’ nato il mio amore per l’Eritrea. Ognuno ha la sua Africa.

Nota. Sono questi i miei appunti, mentre viaggiavo in lungo e largo per l’Eritrea. In quel periodo pochi ne parlavano, ma vi assicuro che questa è una terra stupenda, e dove tutto o quasi parla d’Italia. E poi, gli eritrei ci vogliono bene. Anche a questo popolo, per tanti aspetti nostro fratello, ho dedicato la stesura de La Voce del Maestrale

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