Al Cle – Manerbio (Brescia), 14 ottobre 2012. Delle mille storie che avvolgono il mondo dei cavalli, poche hanno meritato il personale mi piace. Sara’ stato perche’ sono un lettore attratto dalle belle avventure, di quelli che tendono a commuoversi, se vale la pena. Allora e’ chiaro come la vita di Monty Roberts e’ di quelle che lasciano una traccia. Anni addietro ho letto la sua autobiografia “The man who listen to horses”. Così, l’uomo che ascoltava i cavalli e’ entrato nella mia vita di lettore prima e d’autore piu’ tardi. Monty, pero’, non e’ solo scrittore di best seller. Lui ha dedicato l’esistenza ai cavalli. Da ragazzino trascorreva ore ad ascoltare i mustang selvaggi del Nevada. E’ stato allora che ha compreso il linguaggio espresso dal corpo degli animali, e intuito che e’ semplice e prevedibile. Infatti, mostra l’affetto o il fastidio d’ogni singolo e all’interno del branco. Questa intuizione ha permesso a Roberts di creare il metodo d’allenamento Join-Up, basato sull’assenza di forza da parte dell’allenatore. Attraverso l’idioma del corpo, questi docilmente riesce a farsi accettare dall’animale come un capo branco; così mentre gli volta le spalle e si allontana, il cavallo lo segue in liberta’, con fiducia e rispetto e amicizia. Nell’equitazione moderna e per ogni lavoro da compiere con questo splendido essere vivente, Join-Up rappresenta lo strumento migliore.

Ma che cosa c’entra Monty Roberts con Al Cle e Manerbio? Mi trovavo qui tra le scuderie e all’apertura di tre giorni di concorso indoor. Giravo con le mani in tasca per i viali, quando raggiunsi il campo prova. Dentro si respirava emozione, in altre parole quella bella cosa che sempre ha preso alla gola gli sportivi prima di un evento. In questo caso, cavalieri e amazzoni mascheravano come potevano il momento, eleganti nelle loro tenute. Era difficile, tuttavia, ingannare uno che lo sport agonistico lo ha fatto, per bene. E’ stata questa acquisita sensibilità a farmi notare un’amazzone e la sua cavalla. Stavano insieme e tranquille come due vecchie amiche al cinema. Ciononostante dovevano entrare in campo gara. Osservo meglio. L’animale e’ scalzo, senza ferri che gli costringono gli zoccoli, e finanche è libero in bocca, niente morso tra denti e lingua. Mi stupisco non poco, ben sapendo quanta forza utilizzano i cavalieri in concorso. Decido di seguire gli eventi successivi. Le due entrano in campo e vanno alla prima barriera. Il tocco dell’amazzone e’ leggero e sfugge alla vista, solo le gambe fasciano il costato. E poi, non ha gli speroni. Feodora, anche lei, appare a suo agio in un galoppo leggero e naturale. Commettono un piccolo errore alla fine del percorso, ma escono serene, nonostante l’eliminazione. Questa è una buona storia. Penso io. Così vado a parlare con Maria Grazia Degola, mentre porta Feo – lei la chiama così – alle scuderie. Trovo una donna molto semplice, che serve di persona l’animale. Lei fa quasi tutto da sola, e mi spiega che segue la scuola di Monty Roberts da qualche tempo. Si dice dispiaciuta di non averlo conosciuto prima, ma oggi questa e’ la sua nuova strada. Andra’ avanti cosi’, con Feodora e gli altri cavalli liberi nel paddock dietro casa, ad Albinea, tra le colline di Reggio nell’Emilia.

Poi, scopro che questa sportiva ha un notevole passato agonistico. Lei ha vinto, ancora giovanissima, il G.P. Internazionale di Merano. Altri i suoi successi e piazzamenti.  Feo e’ come Maria Grazia, carina, elegante e per nulla piena di se’. Eppure è figlia del campionissimo Toulon. Credo che continuero’ a scrivere di amazzoni e cavalieri.

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