“La grandezza di quest’opera, degna di entrare tra i classici della letteratura siciliana, sicuramente sta nel portare alla luce …”

Mi sono imbattuta con “La voce del maestrale” di Nunzio Russo per caso e, di fatto, ne sono stata folgorata. Nato in Sicilia nel 1960 e discendente di una famiglia di produttori di pasta, l’autore ha mostrato grande talento letterario con questa sua opera prima. “La voce del maestrale” (2008) e’ un libro ambientato tra la Sicilia e l’Africa in un lasso di tempo che scorre tra il 1910 e il 1996. Romanzo in parte autobiografico, in parte inventato, e’ la saga familiare dei Musumeci che si sviluppa tra eventi storici d’interesse rilevante, come la prima e la seconda guerra mondiale, il ventennio fascista, la campagna d’Africa, lo sbarco in Sicilia delle truppe americane, l’avvento della Repubblica, il boom economico e cio’ che ne consegue. Capostipite della famiglia, Salvatore Musumeci, mugnaio di Granata, che e’ riuscito ad arricchirsi grazie al suo duro e onesto lavoro e per salire di ceto a comprarsi il titolo nobiliare di barone di Mezzocannolo. Il suo non sottostare al principe di Granata, senatore del Regno d’Italia, proprietario della maggior parte dei mulini della zona, lo portera’ a una morte barbara per mano di un mafioso. Il mulino passa cosi’ a suo figlio Vincenzo che comincia a produrre semole da pasta e fonda il Pastificio Musumeci, con ottimi guadagni. Vincenzo sposa Ada, donna mentalmente instabile, da cui avra’ il figlio Toto’, ma il suo unico e vero amore e’ Maddalena, medico missionario in Africa, che resta incinta di lui e che, per salvare se stessa e la famiglia, sposa un ufficiale italiano, Adriano Baggio. A Toto’ piacerebbe tanto studiare musica e diventare direttore d’orchestra ma, come desidera il padre, s’iscrive alla facolta’ di economia per prendere le redini del pastificio che riesce a ingrandire, aumentandone ben presto la produzione ed esportando la pasta Musumeci persino in America. Toto’ diventa anche deputato della Democrazia Cristiana e si batte per i pastifici siciliani che durante gli anni settanta soccomberanno ai nuovi pastifici del nord. D’altronde Toto’ insieme all’amico del cuore Nino Ventura aveva piu’ volte salvato il proprio pastificio dal fallimento e soprattutto durante la seconda guerra mondiale dalla distruzione, murando in uno scantinato tutti i nuovi macchinari, appena comprati dalle Officine Reggiane. Caparbio sino all’inverosimile, Toto’ amerà per tutta la vita Elena, da cui pero’ non avra’ eredi maschi. Il nipote Adriano, figlio del fratellastro Peppuccio stroncato, da un brutto male, a causa d’investimenti sbagliati in Africa dimezzera’ il patrimonio dei Musumeci e sarà causa dell’epilogo della famiglia. In questo romanzo l’amore, l’amicizia, la lealtà, il senso della famiglia sono analizzati e descritti in tutta la loro sicilianità come, invece, i temi atavici di una terra feudale, latifondista, nelle mani dei gabellotti locali, sono analizzati e descritti in tutta la loro sicilitudine. Una vicenda narrata con una prosa elegante che descrive la storia di alcuni uomini che hanno fatto l’imprenditoria del Sud con enormi difficolta’ e che hanno dovuto soccombere soprattutto a causa dei costi di trasporto e dell’assenza di una rete autostradale ai produttori delle regioni settentrionali ad aziende molto piu’ grosse, più all’avanguardia e vicine ai mercati. La grandezza di quest’opera, degna di entrare tra i classici della letteratura siciliana, sicuramente sta nel portare alla luce con documenti alla mano la chiusura di oltre quarantacinque piccole industrie nella zona di Termini Imerese che riuscivano a produrre giornalmente 14.521 quintali di pasta. La pasta e’ nata in Sicilia tra Termini Imerese e Trabia nel 1154, cento cinquant’anni prima, dunque, che Marco Polo giungesse dall

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