Nella recensione di Marina Atzori la mission del romanzo di Nunzio Russo.

Quattro generazioni d’imprenditori siciliani sfidano la tortuosa storia della loro terra. Una storia raccontata bene, in maniera sobria e senza eccessi quella di Nunzio Russo, che non lascia nulla al caso. Un’Isola meravigliosa la Sicilia, ambita da sempre, fin dall’antichità, per la sua posizione strategica e il suo straordinario territorio che è sempre stato oggetto di contenzioso da parte di numerose popolazioni. A partire dai Greci e dai Fenici audaci naviganti e abili commercianti che si insediarono attraverso nuove colonie e come ben sappiamo fondarono la città di Panormo, (Palermo). Ho voluto introdurre con questa breve parentesi storica perché l’intenzione dell’autore è proprio quella di far comprendere al lettore che anche la Sicilia raccontata da lui, quella del novecento ha subito momenti storico-politici  importanti. I personaggi che vivono le vicende si espongono in quest’epoca e hanno ruoli ben definiti, vissuti molto forti, dai tratti caratteriali tipici del sud, dove orgoglio, famiglia e cultura dell’Impresa familiare ruotano come ingranaggi perfetti ben posizionati nel tempo. Rimango, infatti, colpita positivamente dagli aspetti realistici che caratterizzano il narrare e dall’umanità delle figure femminili presenti nella storia, alle quali, vedrete non vi risulterà difficile affezionarsi.

Purtroppo la mafia ha da sempre ostruito lo scorrere limpido dei fatti rendendo serpeggianti le sue intrusioni. Infatti, i segreti, la slealtà e i codici d’onore della malavita in questo romanzo, auspicano ad impadronirsi di risultati ottenuti col sudore della fronte. Tuttavia, la volontà di chi non si piega a tali subdole forme di ricatti morali ed economici vuole prevalere tra le pagine de “La Voce del Maestrale”. Come ben sappiamo gli obiettivi ultimi dei malavitosi sono il denaro e il potere. Spesso questi loschi figuri attaccano un’azienda quando è solida e sana, il fatto di aver sacrificato una vita per raggiungere determinati risultati a loro poco importa. Spesso, malauguratamente spartire gli utili con questa fetta di “mondo” con il quale non si vorrebbe avere nulla a che fare scaturisce la tappa di un pericoloso percorso obbligatorio. Potrebbe starci bene “BELLUM OMNIUM CONTRA OMNES”, i latini riassumono egregiamente quella che risulta essere una battaglia di tutti contro tutti, la stessa che combattono ogni giorno gli imprenditori costretti a scendere a patti col “diavolo” in questione, ovviamente poco puliti. Insomma, all’apparenza qualcuno protegge per essere a sua volta protetto. In realtà si incorre in grosse rinunce e in una serie di  molteplici guai dai quali risulta proibitivo uscire. Totò Musumeci qui ha tuttavia un’altra missione, la figuradi quest’uomo è riuscita bene all’autore, infatti è ricca di senso di rivalsa e di intenti puliti. Questo personaggio, nipote del Barone di Mezzocannolo ucciso dalla mafia, nel romanzo dovrà difendere la tradizione con tutte le sue forze e divulgarla con quel coraggio che gli sussurra quotidianamente il Maestrale. Un vento che vuol portarsi via le croste della violenza del Principe di Granata padrone di tutto. Un tutto che è il Pastificio, e vale oro, vale i sacrifici di una vita intera, passata a voler lasciare qualcosa di grande e inviolato a chi viene dopo. Vorrei sottolineare la ricchezza di contenuto della lettera di Maddalena, quella che Vincenzo Musumeci legge la notte in cui non riesce a chiudere occhio. Una lettera carica di sentimento, di gratitudine, eccone un breve passaggio: “le memorie d

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