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I Quaderni di Sicilia

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Alle memorie di Siracusa e’ bello ritornare nei pensieri. Le più antiche hanno sfidato i millenni e vissuto nell’eternità, come quelle del tragico amore di Arete e Dionisio. Arete figlia d’Ermocrate, bella e fragile, sgomenta e coraggiosa, cedevole e sfacciata. E poi Dionisio, Dionisio di Siracusa, l’uomo dall’invincibile armatura che difese lo Stato insieme con lo scudo, e poi lo stesso condusse verso impossibili conquiste e scagliando lontano la tremenda lancia del più grande esercito dell’antichità.
 
Ma ci piace immaginare ancora lui, Dionisio, mentre si dilunga a guardare il mare nell’imbrunire del rosso al tramonto, indossando una clamide, e tenendo per mano la sua Arete e sognando di essere domani finanche quel che fu nei fatti. Poeta e drammaturgo e sensibile amante, per sempre legato nell’intimo al perduto unico amore. Da qui parte la storia e questa diventa mito.
 
Era il 412 A. C.., e quegli eventi segnarono un uomo e la sua donna e i destini di una nazione. Siracusa che, addestrata al coraggio, combatté la potenza di Cartagine, e poi governò l’Italia fino all’Alto Adriatico e divenne il “…più gran dominio d’Europa prima di quello macedone, e quindi una delle tappe miliari nello sviluppo dell’idea stessa di Stato territoriale nel mondo greco.”. (cit. Domenico Musu, Storia Greca).
 
Abbiamo incontrato Giuseppe Zanghì, segretario regionale di Fiaip, l’autorevole federazione degli agenti immobiliari italiani. A lui, cittadino di Siracusa, abbiamo chiesto di descrivere la sua città.
 
“Siracusa, nel Mediterraneo, è crocevia di mitologie, culture, storie, lingue e popoli diversi. Fondata nel VIII° secolo a.c. da coloni greci, è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità nel 2005. Cicerone la definì la più bella di tutte le città greche. Ai giorni nostri la scopriamo importante polo industriale, mentre guarda con rinnovato interesse al turismo. D’altronde i siti archeologici, le scogliere di bianco calcare, i castelli, i palazzi barocchi e i porti naturali già parlano di un luogo unico e stupendo.”.  

Spesso le immagini ci donano emozioni e risvegliano i ricordi della memoria. Desidero dedicare questa sezione del blog, chiamata I quaderni di Sicilia, a Palermo e a tutti i palermitani. Sono i veri protagonisti di questa storia, fatta unicamente di foto e didascalie. Servono poche parole per la Capitale della Cultura Italiana 2018.
Questo giro, attraverso l'isola e le sue leggende, comincia da qui, perché la città è stata anche vera e grande capitale. Così volle Federico II di Svevia, Sacro Romano Imperatore, cresciuto tra le sue vie e le mura della propria reggia,  Palazzo dei Normanni. E' appunto dal castello del sovrano ricordato come Stupor Mundi,  oggi sede dell'Assemblea Regionale Siciliana, che inizia questo viaggio. 

    

Si consiglia di utilizzare alici del mediterraneo, per questa ricetta siciliana della tradizione.
 
PASTA CON LE SARDE
 
Ingredienti (per 6 persone):
 
500 gr. Bucatino o Spaghettone 3 mm 
150 gr. Finocchio selvatico
400 gr. di Alici
4-5 cucchiai di Olio extra vergine di oliva
1 Cipolla bionda
6 Pomodori pelati
150 gr. Mandorle
4–5 Filetti di acciughe
Zafferano
Uva passa
Basilico
Pinoli
 
Preparazione:
 
Si lessano nell’acqua in cui dovrà bollire la pasta 150 gr. di finocchio selvatico, quindi si mettono gli spaghettoni, si scolano insieme pasta e finocchio, e si condiscono con il sugo di sarde preparato a parte.
Si toglie la spina a 400 gr. di alici e si mettono a cuocere in casseruola con 4 – 5 cucchiai di olio extra vergine di oliva, 1 cipolla affettata fine, 6 pomodori pelati e tagliati a pezzi, un pizzico di zafferano, uva passa, basilico e pinoli.
Si tostano 150 gr. di mandorle, e si scaldano in padella con 4 – 5 filetti di acciugha.

A questo punto si condiscono gli spaghettoni e il finocchio con il sugo di sarde, si cosparge di mandorle tostate e si mette in teglia, intramezzando sempre con il sugo di sarde. Si ricopre ancora con le mandorle tostate, si condisce con un filo di olio extra vergine di oliva crudo. Passare al forno, ben caldo, per 10-15 minuti. 

Nelle notti più dolci, tante volte ho sognato la luna e la stella come elegante arredo della volta celeste più pura incontrata nella vita. E’ questo l’istintivo ricordo del mio affetto per l’alto colle sul mare di Cefalù. Era un 8 settembre, ma la memoria di quel giorno è rimasta sempre viva nell’intimo dell’io. Un vescovo cantava i vespri ed esortava tutti a guardare nel cielo i segni della presenza silenziosa di Maria, all’imbrunire e sul sagrato. Poco più che ragazzo quale ero allora, dapprima ridacchiai, ma dopo andai giù e inginocchiato, portato lì da una dolce mano, mai dimenticata un solo istante.
 
A quei tempi i giovani erano, o si sentivano, giganti. Contestavano e chiacchieravano di politica e fumavano, ma sempre vestivano polo di lacoste e mettevano una monetina da venti lire nella fessura degli immancabili mocassini, quasi coperti da jeans a zampa d’elefante. Di Dio poco si temeva o sapeva, una volta ottenuta la prima comunione, a Palermo, dai Padri Gesuiti di Casa Professa. A questa normalità neppure io facevo eccezione. Ma altro era a venire, lungo quel tratto mai diritto che indicava il domani. Almeno, per me.
La prima fidanzatina della mia esistenza villeggiava lì, e così andai a vedere la strada da percorrere per raggiungerla un paio di volte la settimana, nei pomeriggi della calda stagione. Quella volta mi condusse fino al Santuario, dopo avermi mostrato la casa dei genitori. Ebbi una percezione di stupore nell’osservare i gradini e poi lo spiazzo e la statua di Francesco sulla destra. Non andai oltre quel giorno. Mi fermai lì e tornai indietro. Quell’estate rare volte tornai lassù. Frequentavo lo Spaccio Colombo e qualche volta andavo a guardare il mare dall’Osservatorio. Era il 1982 e la nazionale diventava campione del mondo e Paolo Rossi come una cometa gonfiava d’orgoglio il petto degli italiani. Ma faceva caldo e lo scirocco imperversava sulla costa, quasi era stato lui il monarca assoluto del momento. Allora scappavo dalla ragazzina di quell’epoca senza macchia, alla ricerca di una fronda e del fresco e d’aria buona.
 
Dai tramonti e attraverso albe acquamarina sono passati gli anni, e momenti grigi e lieti hanno inondato d’emozioni il giovane di un tempo. Ad un tratto mi vidi più grande, magari afflitto dal sempre attuale problema della ricerca di un lavoro adeguato a chi è stato educato ad antichi valori, che da sempre furono gli unici a contare, se un po’ funzioni con la testa. Sempre lì, mi trovai a riflettere su questo e da solo, in una giornata fatta dell’oro e del rosso d’autunno. Avevo incontrato e conosciuto una giovane, che faceva compagnia alla nonna, una dolce signora che mai si staccava da quel colle, prima d’ottobre. Recitai una preghiera, percependomi piccolo e improvvisato come fedele. Ma quello fu l’inizio vero dell’amore. In tutti sensi.
 
Nella mente ho memoria dei miei figli piccoli, e la viva immagine della salita a piedi attraverso i vialetti della macchia e fino a Pizzo S. Angelo, il punto più alto. Portavo le coperte in spalla ed il cestino per fare colazione, sempre inseguito dalle mille raccomandazioni della loro mamma, perché potevano esserci pericoli. Rischi grossi, precisava, visto che spesso sogno, e finanche disattento e colpito dalla bellezza del bosco, che vede l’immensità del mare come un falco all’attacco d’una preda. E poi, penso tante altre piccole storie come modesti vissuti o icone di più stagioni sempre vive nel cuore. Dell’ascesa alla campana del Santuario, attraverso una porticina, una domenica e durante la messa, potrei raccontare per un giorno e una notte o forse più.  Cos&ig

Nell'immenso sole che bagna la città dove sono nato, oggi l'arte è di tutti come dono dell'infinito. 

Di mio sono sensibile, e così ho vissuto un momento speciale. Sarà stato il sole o la musica, ma ho sognato e finanche rivisto tanti momenti. Ecco, in ogni caso, un pezzetto di Palermo. 

Nunzio Russo

E’ una pietanza originaria della zona di Palermo. Si prepara d’estate.

Una varietà della Zucca Lagenaria e’ la cosiddetta Serpente di Sicilia, lunga anche più di un metro e spessa dai quattro ai cinque centimetri circa. La pianta ha dei rami principali, dove si sviluppa il frutto. Da questi nascono dei secondi gettiti, dalle foglie con particolare consistenza vellutata, che si raccolgono insieme con i rametti. Queste cime, le più tenere, appunto i tenerumi, sono usate in cucina.

LA PASTA CON I TENERUMI

Ingredienti (per 4 persone):

300 gr Spaghetti (ma vanno benissimo anche Strangozzi Umbri o Reginette Napoletane)

8 rametti di Tenerumi

4 Pomodori per salsa da spellare

2 spicchi d’Aglio

1 piccola Cipolla

Sale e Pepe q.b.

Olio Extra Vergine d’Oliva q.b.

Preparazione:

Si comincia subito, preparando il picchi pacchio siciliano. Pelare i pomodori, togliere i semi e farne dei cubetti. Poi si taglia la cipolla a strisce molto sottili e si soffrigge in poco olio, unendo l’aglio tritato (oppure in camicia e poi toglierlo) e aggiungendo i pelati. Aggiustare sale e pepe, quindi far cuocere finché il pomodoro appassisce.

Si scelgono le foglie di verdura più verdi e vellutate: lavarle e tagliarle a strisce. Si cuociono i tenerumi in acqua salata per circa quindici minuti. Quindi si scola con un colino, ma senza strizzare, e avendo cura di mantenere l’acqua della pentola in ebollizione per la successiva cottura della pasta. Unire i tenerumi al picchi pacchio e mescolare. Infine si aggiunge la pasta al condimento, maneggiando con cura. Servire in un piatto di portata.

La pasta è nata in Sicilia. Il suo luogo di origine è Termini Imerese. I ricercatori ci danno notizie di questo prodotto unico nella storia della scienza alimentare, fino dal 1154. E quindi da quando il geografo arabo Al Idrisi giro’ l’isola, scrivendo Il Libro di Ruggero, e così narrando le meraviglie della terra del sole e per conto del normanno Re Ruggero II di Sicilia. Questo fatto avvenne cento anni prima della nascita di Marco Polo,  per centinaia di anni considerato l’esploratore che – scopertala in Cina – la fece poi conoscere in occidente. Di questo mito secolare è rimasto poco nel luogo d’origine. Agli inizi del novecento a Termini Imerese c’erano ancora quarantacinque fabbriche, e tutte producevano pasta o macinavano il grano. Sulla carta stampata, di alcune aziende è rimasta indelebile traccia fino ad oggi.
 
ANTONINO RUSSO FU NUNZIO
Molini e  Pastificio – TERMINI IMERESE
 
"Non v’è chi non dica che le paste alimentari di Torre Annunziata e di Gragnano siano tra quelle di produzione italiana le supereccellenti; ed infatti non si può dire che tali prodotti siano da disprezzare; ma in omaggio alla giustizia ed alla verità, è dovereoso riconoscere che il luogo di origine di questa industria è la Sicilia e specialmente Termini Imerese, ove si fabbrica la pasta di pura semola senza ricorrere alle materie eterogenee di cui non tutte le Case produttrici di altri siti sono aliene dal miscelare le semole per la pasta medesima.
In riva al mare, ma poco lungi dalla Città e vicinissimo allo stabilimento termale, sorge in Termini Imerese un opificio di recente costruzione, ma che rappresenta il risultato di molti anni di lavoro e di attività. Esso appartiene alla ditta Russo, la quale sino dal 1875 esiste, ed ha saputo conquistarsi per la bontà dei suoi prodotti un posto invidiabile fra le Ditte esportatrici di paste alimentari siciliane.
E’ il solo stabilimento di Termini che unisca alla produzione di paste alimentari la macinazione dei cereali; questa produzione cumulativa porta il doppio vantaggio di avere una materia prima migliore, ed il prodotto eccellente.
Lo stabilimento è fornito di una motrice a gas povero di 30 cavalli, ed un macchinario esemplare, quali macine e semolatrici, impastatrici, torchi orizzontali e verticali e gramolatrici.
Il frumento adoperato, è il cosi detto duro di Sicilia, col quale si fabbrica dal Russo un unico tipo di pasta. Le specie poi variano a seconda delle richieste, e si va dalle sottili pastine alle paste lunghe, forate o scanalate.
Questi prodotti sono veramente degni della rinomanza che godono in Italia e particolarmente all’estero; nella cottura conservano la loro consistenza, hanno un sapore speciale gustosissimo e sono di facilissima digestione. Cio’ dipende anzitutto dalla qualita’ extra dei grani adoperati, e poi da un fatto importantissimo a sapersi. Lo stabilimento Russo sorge a non più di 100 metri dalle famose e miracolose Terme; una vena d’acqua termale passa proprio sotto l’edificio del Russo, il quale conoscendo i benefici effetti di queste acque volle adottarle per la pulitura e la bagnatura del grano.
Una pompa estrae continuamente quest’acqua minerale e calda, ed il grano s’imbeve e si appropria tutti gli elementi salutiferi dell’acqua, i quali vengono conservati

Questo piatto è unico nella tradizione siciliana. Le vecchie storie dicono che fu pensato dalla signora Adele La Manna Giuffrè di Termini Imerese, proprietaria terriera e poetessa. 

Il nome di PASTA INCACIATA, si dice, fu proprio lei a stabilirlo. La ricetta è stata tramandata attraverso le generazioni. Oggi viene presentata da questo blog e offerta ai buongustai di tutto il mondo. Chi ha avuto la fortuna di assaggiare questa pietanza, specialmente a ferragosto e sotto un albero di ulivo, non l’ha più dimenticata.
 
 

 

LA PASTA “INCACIATA”

 

Ingredienti: (Per 6-8 persone) 
500 gr. di rigatoni
600 gr. di carne di manzo per sugo
100 gr di estratto di pomodoro
2 melanzane
1/2 cipolla
1 mazzo di basilico
1 noce moscata
1 cucchiaio di zucchero
1 cucchiaio di parmigiano
olio di oliva

Preparazione:
Tagliare in tre parti la carne. Versare un poco di olio in un tegame e riscaldare leggermente. Poi rosolare il manzo da ogni lato, quindi poggiarlo in un piatto. Nello stesso tegame soffriggere la mezza cipolla fin quando diventa bionda, aggiungere l’estratto di pomodoro e scioglierlo con acqua calda. Quindi, tornare a mescolare la carne nel sugo. Spandere ancora abbondante acqua calda, portare a ebollizione e far cuocere per circa due ore a fuoco moderato. Attendere che l’intingolo si rapprenda. Quando la carne è ben cotta bisogna metterla su un tagliere, spezzettarla e poi depositarla in un’altra pentola. Friggere le melanzane tagliate a fette, tagliuzzarle e unirle al manzo. Condire con due – tre mestoli di sugo, basilico, zucchero, sale, parmigiano e un pizzico di noce moscata. Cuocere i rigatoni e, dopo avere eliminato l’acqua di cottura, maneggiarli insieme al condimento. Servire in un piatto di portata.
 
Per gentile concessione degli eredi della signora Adele La Manna Giuffrè
 

“Bisogna essere intelligenti per venire a Ibla, una certa qualità d’animo, il gusto per i tufi silenziosi e ardenti, i vicoli ciechi, le giravolte inutili, le persiane sigillate su uno sguardo nero che spia”. (Gesualdo Bufalino)
 
Delle province siciliane quella di Ragusa è relativamente giovane. Infatti, venne istituita nella seconda metà degli anni venti. La zona è fra le più ricche del mezzogiorno d’Italia. Il capoluogo è una città dinamica, sede di numerose aziende ed enti. Nel ragusano vi sono grandissimi giacimenti d’asfalto, tra i più grandi d’Europa, oltre una consistente  presenza di petrolio.
 
Il centro storico di Ragusa Ibla, caratterizzato dai suoi palazzi in stile barocco, è stato dichiarato patrimonio dell’UNESCO. Numerosi i film, divenuti dei veri cult, girati interamente ad Ibla. Davanti a tutti, Divorzio all’Italiana di Pietro Germi e Kaosdei fratelli Taviani.
 
Maria Grazia Di Forti, presidente del Collegio Provinciale Fiaip – federazione italiana agenti immobiliari professionali – di Ragusa, abbiamo chiesto una riflessione sulla sua terra e gli abitanti.

“Qui la gente è ancora genuina, lavora e produce, oltre ad essere particolarmente generosa. Il numero dei donatori Avis , in rapporto agli abitanti, è secondo soltanto alla città di Milano. Per chi viene da fuori è uno spettacolo guardare Ibla, la sera e dall’alto, così simile ad un presepe d’altre epoche. Insomma, parlo di luoghi bellissimi e paradisiaci, come li ha recentemente definiti Roberto Benigni, che lo scorso settembre ha visitato questa provincia”. Ha risposto la signora Di Forti. 

Ogni anno è la festa patronale con più devoti al seguito, la terza nel mondo. Stiamo parlando dell’omaggio di Catania alla sua Santa Patrona: S. Agata. La data fra il 3 e il 5 febbraio.

Agata nacque da una famiglia ricca e nobile verso il 230. Essa visse a Catania con la sua famiglia. Secondo la tradizione cattolica S. Agata si consacrò a Dio all’età di 15 anni circa, ma studi storici approfonditi rivelarono un’età non inferiore ai 21 anni: non prima di quest’età, infatti, una ragazza poteva essere consacrata diaconessa come effettivamente era Agata, cosa documentata dalla tradizione orale di Catania, dai documenti scritti narranti il suo martirio e dalle raffigurazioni iconografiche visitabili a Ravenna, con particolare riferimento alla tunica bianca e al pallio rosso. Inoltre, da un punto di vista giuridico, Agata aveva il titolo di "proprietaria di poderi", in altre parole di beni immobili. Per avere questo titolo le leggi del’impero romano pretendevano il raggiungimento del ventunesimo anno d’età. La santa morì martire sui carboni ardenti, dopo un ingiusto processo chiuso con un’insurrezione popolare contro Quinziano, che dovette fuggire per sottrarsi al linciaggio della folla catanese.

“La nostra città tutta è devota alla sua santa patrona, la cui storia e martirio sono esempio ancora oggi di dedizione e impegno in favore delle giuste cause “. Ha dichiarato Carmelo Mazzeppi, presidente Provinciale Fiaip – Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali di Catania, commentando questa bella pagina dei Quaderni di Sicilia.

 

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