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Di Indro Montanelli abbiamo letto molto, e finanche abbiamo assistito a critiche e violenze nei confronti della sua persona, perché era schietto e raccontava la storia come oggettiva verità. Era un giornalista e uno storico con il gusto dell’innovatore. Per lui la vera cronaca del passato era una scienza, che utilizzava la pienezza di tutte le fonti (anche orali), nel loro dispiegarsi nel tempo, per definire l’evoluzione della Società e della Cultura. E per questo che propongo un breve stralcio del fondo a sua firma, pubblicato sul Giornale tanti anni addietro, nel 1983… ricorrendo il 4 novembre, giorno della nostra definita unità come Nazione.


"SALUTO AL RE…non so che Re sarebbe stato se fosse rimasto Re, so che nessuno lo fu più e meglio di lui dal giorno in cui smise di esserlo, e da allora sono trascorsi trentasette lunghi anni. Nessuna dinastia, credo, neanche quella degli Hohenzollern, ha avuto un epigono che all’impegno di onorarne il nome e il ricordo abbia saputo fare tanto sacrificio della propria vita, e con piena coscienza della sua assoluta inutilità. Dei suoi antenati, quello a cui più somigliava è Carlo Alberto: se non nel carattere, nella sventura e nella dignità con cui l’ha portata. Forse è anche per questo che scelse, come terra di esilio, Il Portogallo. "Come i sogni, lo avevamo dimenticato". Ci volevano l’agonia e la morte per riportarcelo alla memoria. Ora ci auguriamo che l’Italia repubblicana senta il dovere di rendere un sommesso omaggio a questo ultimo Savoia, il più incolpevole e sfortunato di tutti, accogliendone le ceneri a Superga, come egli stesso ha desiderato e richiesto.
E’ un pezzo della nostra storia che finisce con lui. E chi rinnega la propria storia, bella o brutta che sia – ma non è mai né tutta bella, né tutta brutta – rinnega se stesso. (Indro Montanelli)"

 
 

 

 

 

 

 

Al Cle – Manerbio (Brescia), 14 ottobre 2012. Delle mille storie che avvolgono il mondo dei cavalli, poche hanno meritato il personale mi piace. Sara’ stato perche’ sono un lettore attratto dalle belle avventure, di quelli che tendono a commuoversi, se vale la pena. Allora e’ chiaro come la vita di Monty Roberts e’ di quelle che lasciano una traccia. Anni addietro ho letto la sua autobiografia “The man who listen to horses”. Così, l’uomo che ascoltava i cavalli e’ entrato nella mia vita di lettore prima e d’autore piu’ tardi. Monty, pero’, non e’ solo scrittore di best seller. Lui ha dedicato l’esistenza ai cavalli. Da ragazzino trascorreva ore ad ascoltare i mustang selvaggi del Nevada. E’ stato allora che ha compreso il linguaggio espresso dal corpo degli animali, e intuito che e’ semplice e prevedibile. Infatti, mostra l’affetto o il fastidio d’ogni singolo e all’interno del branco. Questa intuizione ha permesso a Roberts di creare il metodo d’allenamento Join-Up, basato sull’assenza di forza da parte dell’allenatore. Attraverso l’idioma del corpo, questi docilmente riesce a farsi accettare dall’animale come un capo branco; così mentre gli volta le spalle e si allontana, il cavallo lo segue in liberta’, con fiducia e rispetto e amicizia. Nell’equitazione moderna e per ogni lavoro da compiere con questo splendido essere vivente, Join-Up rappresenta lo strumento migliore.

Ma che cosa c’entra Monty Roberts con Al Cle e Manerbio? Mi trovavo qui tra le scuderie e all’apertura di tre giorni di concorso indoor. Giravo con le mani in tasca per i viali, quando raggiunsi il campo prova. Dentro si respirava emozione, in altre parole quella bella cosa che sempre ha preso alla gola gli sportivi prima di un evento. In questo caso, cavalieri e amazzoni mascheravano come potevano il momento, eleganti nelle loro tenute. Era difficile, tuttavia, ingannare uno che lo sport agonistico lo ha fatto, per bene. E’ stata questa acquisita sensibilità a farmi notare un’amazzone e la sua cavalla. Stavano insieme e tranquille come due vecchie amiche al cinema. Ciononostante dovevano entrare in campo gara. Osservo meglio. L’animale e’ scalzo, senza ferri che gli costringono gli zoccoli, e finanche è libero in bocca, niente morso tra denti e lingua. Mi stupisco non poco, ben sapendo quanta forza utilizzano i cavalieri in concorso. Decido di seguire gli eventi successivi. Le due entrano in campo e vanno alla prima barriera. Il tocco dell’amazzone e’ leggero e sfugge alla vista, solo le gambe fasciano il costato. E poi, non ha gli speroni. Feodora, anche lei, appare a suo agio in un galoppo leggero e naturale. Commettono un piccolo errore alla fine del percorso, ma escono serene, nonostante l’eliminazione. Questa è una buona storia. Penso io. Così vado a parlare con Maria Grazia Degola, mentre porta Feo – lei la chiama così – alle scuderie. Trovo una donna molto semplice, che serve di persona l’animale. Lei fa quasi tutto da sola, e mi spiega che segue la scuola di Monty Roberts da qualche tempo. Si dice dispiaciuta di non averlo conosciuto prima, ma oggi questa e’ la sua nuova strada. Andra’ avanti cosi’, con Feodora e gli altri cavalli liberi nel paddock dietro casa, ad Albinea, tra le colline di Reggio nell’Emilia.

Poi, scopro che questa sportiva ha un notevole passato agonistico. Lei ha vinto, ancora giovanissima, il G.P. Internazionale di Merano. Altri i suoi successi e piazzamenti.  Feo e’ come Maria Grazia, carina, elegante e per nulla piena di se’. Eppure è figlia del campionissimo Toulon. Credo che continuero’ a scrivere di amazzoni e cavalieri.

 “In politica, se vuoi qualcosa di detto, chiedi ad un uomo, se vuoi qualcosa di fatto, chiedi a una donna”. 

Margaret Thacher è andata via come tutti gli amori, prima o poi. Gia’, perche’ lei apparteneva a quella sparuta elite’ di cui è impossibile fare a meno. Potevi anche odiarla, per certe prese di posizione o per quel che rappresentava aldila’ del bene o del male. Ma l’odio non è forse il rovescio d’ogni tenerezza? Allora quando guardavi a lei provavi stima e, forse, un pizzico d’invidia. Maggie ha donato dignità e grandezza alle donne di tutto il mondo e senza eccessi, spendendo la propria esistenza al servizio degli ideali. Quegli stessi sentimenti che sono stati e sono patrimonio dell’occidente libero e democratico. Il mondo stesso sarà piu’ solo, da oggi.

 

Una pagina di storia tra Emilia e Sicilia.

Se si richiama il passato industriale di Termini Imerese non si puo’ non pensare alla Fiat, passato ancora prossimo e ferita ancora aperta per ogni termitano. Molti, pero’, non hanno dimenticato la presenza dei numerosi pastifici che dagli inizi del secolo fino agli anni Ottanta hanno prodotto qui pasta e farina. 
Di questo passato si e’ ricordata l’Universita’ di Modena e Reggio Emilia, sollecitata da una persona che ha letto il libro di Nunzio Russo, scrittore termitano che in “La voce del maestrale” ha ripercorso la storia della sua famiglia, proprietaria di un pastificio. Reggiane erano le Officine che producevano i macchinari utilizzati da questo pastificio, Adriano Riatti, direttore dell’archivio di Stato delle Reggiane, insieme alla figlia Francesca, ha intrapreso cosi’ un viaggio in Sicilia per ritrovare i luoghi dove venivano impiegati i macchinari prodotti dall’allora fiorente produzione delle Officine Reggiane. L’ing. Riatti, accompagnato da Nunzio Russo, e’ venuto a far visita al sindaco Toto’ Burrafato. Insieme e’ stata ripercorsa la storia delle Officine Reggiane che dagli inizi del secolo scorso hanno rappresentato, identificandosi con essa, la città di Reggio Emilia. 
Si e’ scoperto così che le Officine producevano caldaie, carri ferroviari, macchine agricole, macchine per mulini e pastifici e anche le carrozze dell’Orient Express. Dopo il periodo bellico, oltre ai macchinari per i mulini, ha continuato la produzione ferroviaria, la produzione di macchine per le miniere (tutta la zona del nisseno utilizza macchinari e attrezzature delle Officine Reggiane). E ha continuato la produzione di aerei che erano stati impiegati anche nella guerra e partivano dagli aeroporti di Birgi e Boccadifalco. 
La scoperta da parte delle truppe alleate della presenza di aerei in Sicilia determino’ la decisione di distruggere le Officine che le producevano. Reggio Emilia con le sue aziende fu bombardata, molti macchinari furono salvati perché seppelliti sotto terra. In seguito le Officine sono state acquistate da Caproni che ha proseguito la produzione, ma con il tempo si e’ ridotta sempre più fino all’attuale produzione di gru per i porti.
Negli archivi delle Officine Reggiane sono stati trovati progetti di un trans-aereo, di pale eoliche e bozzetti di un’auto di lusso con compressore, interni in pelle e alluminio per la scocca. Il sindaco Toto’ Burrafato con amarezza ha sottolineato: “Al nostro territorio devastato – da un punto di vista ambientale – da quarant’anni di produzione di automobili, oggi restano soltanto le vecchie macchine delle Officine Reggiane e pastifici che non esistono più”. 
Il libro di Nunzio Russo “La voce del maestrale” sarà presentato il prossimo 22 aprile presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.  

Nel tracciare una breve storia di questa industria, che poi e’ stata l’azienda della mia famiglia, ritengo corretta una nota iniziale tratta dalle fonti della storia.

 
Premessa
 
La pasta è nata in Sicilia, e il suo luogo d’origine e’ Termini Imerese. I ricercatori ci comunicano notizie di questo prodotto unico nella storia della scienza alimentare fin dal 1154. Quindi, da quando il geografo arabo Al Idrisi girò l’isola, scrivendo Il Libro di Ruggero, e così narrandone le meraviglie per conto del normanno Re Ruggero II di Sicilia. Questo avvenne cento anni prima della nascita di Marco Polo, per centinaia d’anni considerato l’esploratore che – scopertala in Cina – la fece poi conoscere in Occidente.
 
In verita’, nella sua ricerca Idrisi scrive di Trabia, piccolo centro a circa 30 km da Palermo, affermando:
 “La Trabia ha una pianura e dei vasti poderi nei quali si fabbrica molta quantità di paste(Yttriyya) da esportarne in tutte le parti, specialmente nella Calabria e in altri paesi di musulmani e di cristiani. (…)” 
Il luogo, pero’, e’ stato un errore di valutazione. La contrada individuata con precisione dall’autore era nota all’epoca come Mulinelli. Ancora ai nostri giorni la chiamano così. La località si trova oggi, come ieri, in territorio di Termini Imerese. Lo sbaglio è nato perché all’epoca dei fatti l’espansione di questa non era l’odierna, sebbene il territorio cittadino fosse molto vasto. Da qui nasce la storica disputa tra le due città per la primogenitura dello spaghetto. La controversia è finita nel 2005, con la prima presentazione del romanzo La Voce del Maestrale di Nunzio Russo (quattro edizioni). Nell’occasione i due sindaci presenti all’evento hanno convenuto che la pasta nascesse a Termini Imerese ma vicinissimo a Trabia, in questo aiutati dall’autore, che poi è figlio e nipote e pronipote di pastai da entrambi i rami della famiglia. Ai Mulinelli, dunque, troviamo le testimonianze del primo pastificio.
 
La Yttriyya (arabo), che poi i latini chiamarono Itria, di cui ci giungono notizie era una merce rustica e nutriente. Questa era prodotta in quantità limitate dalle famiglie, che poi ne facevano commercio. Era fatta a mano con pazienza, e poi lasciata ad asciugare al sole. La materia prima era ottenuta dalla macinazione del grano duro, cui era aggiunta acqua per ottenere l’impasto. Il resoconto di Idrisi narra di una pasta tirata a fili sottili. Di questo mito secolare oggi è rimasto poco nel posto d’origine. Agli inizi del novecento a Termini Imerese c’erano ancora quarantacinque fabbriche, che producevano pasta o macinavano grano. Di alcune è rimasta traccia.
 
ANTONINO RUSSO FU NUNZIO
Molino e Pastificio – Termini Imerese
 
“Non v’è chi non dica che le paste alimentari di Torre Annunziata e di Gragnano siano tra quelle di produzione italiana le supereccellenti; ed infatti non si può dire che tali prodotti siano da disprezzare; ma in omaggio alla giustizia ed al

"C’e’ un posto in Paradiso, chiamato "Ponte dell’Arcobaleno".
Quando muore una bestiola che è stata particolarmente cara a qualcuno, questa bestiola va al ponte dell’arcobaleno. 
Ci sono prati e colline per tutti i nostri amici tanto speciali così che possano correre e giocare insieme. 
C’è tanto cibo, acqua e sole, ed essi sono al caldo e stanno bene.
Quelli che erano vecchi e malati sono ora forti e vigorosi. Quelli che erano feriti o storpi sono di nuovo integri e forti, come noi li ricordiamo nel sogno dei giorni e dei tempi passati. 
Sono felici e contenti, tranne che per una piccola cosa: ognuno di loro sente la mancanza di qualcuno molto amato, qualcuno che hanno dovuto lasciare indietro…
Corrono e giocano insieme, ma un bel giorno uno di essi improvvisamente si ferma e guarda lontano, verso l’orizzonte. I suoi occhi lucidi sono attenti, trema per l’impazienza: tutto ad un tratto si stacca dal gruppo e comincia a correre, volando sul verde prato, sempre più veloce.
Ti ha riconosciuto, e quando finalmente sarete insieme, vi stringerete in un abbraccio pieno di gioia, per non lasciarvi più. Una pioggia di baci felici bagnerà il tuo viso; le tue mani accarezzeranno di nuovo l’amata testolina e fisserai ancora una volta i suoi fiduciosi occhietti, per tanto tempo lontano dalla tua vita ma mai assente dal tuo cuore.
Allora attraverserete, insieme, il Ponte dell’Arcobaleno……."
dai miti e leggende dei nativi d’America  

a Francesco e Massimo, papa’

Dell’amore è opportuno parlare di più. Sentimento alto e che oltrepassa il sentire comune dell’essere umano, è qualcosa allo stesso tempo di noto e sconosciuto. Questo è atto di sacrificio e in quanto tale, si sublima in verità. E’ rivoluzione dell’anima, chiara e stupenda. Peccato, però. Spesso non ti accorgi di avere raggiunto il cielo. Occorre una spiegazione a questa nebbia. Il percorso è lungo, e a volte non basta un’intera vita per determinare note degne d’essere ammesse nel diario intimo di ciascuno di noi.
 
Come le parti di mosaico si compongono pian piano e simili alle esistenze che scorrono turbolente al pari delle acque montane entro definiti meandri, così è lo spirito vitale. Da questa certezza è il caso di cominciare ad osservare gli eventi. Tutto è, in ogni caso, origine di superiore volontà. Dunque è atto di fede credere che avvenimenti anche in negativo hanno per fine il bene. E’ strano, e davvero, parlare di fiducia in questa triste epoca. E’ un tempo che sembra ardere passione al desiderio della sistematica distruzione della famiglia, esibendo con la violenza il crepuscolo di una civiltà dell’oppressione.
 
Altra cosa, invece, è l’amore. E’ libertà della persona, è gioia pulsante del cuore, è infinita saggezza. Nessuna cella, abolito il recinto entro cui restringere l’umanità. Diventa possibile anche qualche privazione, guardando il vissuto da qui. I giovani – per esempio – bruciano le tappe dell’età più bella, correndo oltre l’ostacolo. Convinti d’esser grandi, credono che il sentimento reale passi per l’atto fisico. E’ un falso. Un tempo c’era la rinuncia alla sensualità prima del matrimonio, ma era da questa mortificazione che nasceva ogni tenerezza. Bisogna tornare a questi valori per resistere alle prepotenze di questo mondo.
 

Nella convinzione che non tutto ciò che è nuovo è progresso, si ha il dovere d’innovare, mantenendo i migliori insegnamenti del passato. Allora meditazione e buona lettura diventano strumenti o armi per scoprire e guardare in faccia il nemico. E’ un mostro che tutto stritola per effetto della malizia propria. Oggi si chiama spread e rigore di bilancio, appena ieri era l’allegro sperpero dei pubblici denari e la lotta tra blocchi contrapposti, poco più indietro finanche il passo cadenzato delle armate naziste di ancora viva memoria. Tutto questo significa che il male è sempre lo stesso. Bisogna combatterlo con il buon esempio e confidando nell’unico Dio. Trovarlo è semplice. Chiudiamoci in una camera e preghiamo e non importa come. Preghiera è anche gemito dell’io. Quindi Lui verrà e ci condurrà per mano. Qualsiasi timore sarà soltanto ricordo e il sereno apparirà nel firmamento dell’uomo. 

Pubblicato sulla rivista L’Eco di Gibilmanna

Agosto 2013

Tecnopolo Reggiano (ex Padiglione 19). Sono lieto di annunciare che  i lavori di restauro della selezionatrice da semola  Reggiane degli anni  ’30 sono terminati.

La macchina, donata da Nunzio  Russo ed Angelo Cascino di Termini Imerese,  è tornata al suo splendore ed all’ interno del Tecnopolo dell’ Università di Modena e Reggio, in Piazzale Europa a Reggio Emilia, testimonia la capacità e la laboriosità delle  maestranze delle Reggiane.

Un particolare ringraziamento a tutti coloro che mi hanno affiancato in questo non semplice progetto  durato oltre due anni.

Adriano  Riatti  

Curatore dell’Archivio Digitale OMI REGGIANE presso la Mediateca dell’Università degli Studi di Reggio Emilia

In quella stessa notte di giugno in cui moriva Mattinal, una bella saura francese, nasceva un puledrino, anche lui sauro ed era quasi mattina. Venne chiamato Mattinale.

Tutti gli appassionati di cavalli hanno nel cuore delle storie da raccontare.

Questa, è la storia di MATTINALE.

In quella stessa notte di giugno in cui moriva Mattinal, una bella saura francese, nasceva un puledrino, anche lui sauro ed era quasi mattina. Venne chiamato Mattinale.

Mattinale era nato a casa mia nel 1985. Grande e sensibile cavallo, compagno di vita e avventure di un passato che sembra ormai lontano.

L’avevo allevato, domato e portato in concorso, non con la tecnica e l’esperienza ma con la semplicità del cuore. Gli esordi non furono semplici, veniva spesso criticato da chi vedeva in lui un saltatore mediocre e, fin da puledro, venne bocciato per due volte alla rassegna allevatori. Ma noi eravamo amici e lui non diceva mai di no.

Fu così che con il tempo, divenne un vero stilista del salto. Fra i ricordi più belli il GRAN PREMIO a San Patrignano e la POTENZA al Castellazzo di Bollate, dove superò il muro di 2 metri classificandosi al secondo posto. Mattinale è morto all’ età di 25 anni, là nello stesso posto dove era nato. Sepolto vicino alla sua mamma. Difficile non commuovermi ancora oggi, nel parlare di lui.

Maria Grazia Degola

Nel parlare della Targa Florio ritengo difficile escludere un breve commento. E come descrivere una manifestazione che va oltre il fatto sportivo, se non affermando che rappresenta o meglio esprime una chiara volontà di cambiamento, che la nostra terra vuole operare, nel contesto di una piu’ generale tendenza al miglioramento della civilta’ di Sicilia. “Bisogna guardare avanti” come diceva Vincenzo Florio, il fondatore di questo quotidiano, e come sostiene ancora oggi la redazione tutta.

Questo significa non tralasciare l’anima della nostra regione che, con una giusta interpretazione del passato, in questo caso sportivo, ci aiuti a comprendere i valori mai sopiti di una societa’ finalmente indirizzata al progresso ed al dinamismo. Le forze giovani del nostro mondo, il mondo dell’automobilismo isolano, devono sforzarsi d’interpretare agli occhi degli amici di oltre Stretto tale determinazione. 

La Targa Florio come uno degli esempi chiari e puliti di un mondo rinnovato, e per questo libero da vincoli e lacci di una certa categoria di uomini legati ad un passato di errori, innalzandosi al punto da meritare rispetto e considerazione davanti la classe dirigente della nazione. Lo sport automibilistico insieme con i doni espressi dai campioni siciliani di ieri e di oggi – davanti a tutti Nino Vaccarella ed Antonio Pucci – e’ un esempio di crescita inarrestabile.

In questa ottica va inquadrata la partecipazione alle gare della scuderia Afi Club di Termini Imerese, ed il sostegno di questa a tutti i piloti dell’isola oltre ai piu’ blasonati campioni. A questo punto, non stupisce incontrare Mauro Pregliasco – campione d’Europa Rally – circondato da giovani, e poi ascoltare dalla sua voce:  “Voi ragazzi rappresentate e dovete continuare a rappresentare la parte piu’ bella e sana della Sicilia”.  Un messaggio rivolto tutti, perche’ l’automobilismo oltre palestra di coraggio lo sia anche di vita. Quasi settanta anni di Targa Florio desidero insegnino pure questo.

quotidiano L’Ora di Palermo 29 febbraio 1985

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